COMMISSIONE PER LA
COSTITUZIONE
II SOTTOCOMMISSIONE
RELAZIONE del
deputato ROSSI PAOLO (PSLI)
SULLA
La determinazione di particolari
norme e garanzie per la revisione della Costituzione, implica, naturalmente, il
presupposto che la Costituzione sia essa medesima una garanzia ed anzi il
presidio fondamentale di quel «riposato vivere civile» che fu il miraggio di
tante generazioni di italiani, realizzato appena, e forse soltanto intravisto,
in alcuni decenni più felici.
Ora tutti sappiamo che la
Costituzione è uno, e certo non dei più efficienti, tra i mezzi con i quali,
data sempre l'esistenza di certe condizioni economiche, morali e psicologiche,
si possono salvaguardare le libertà politiche.
La Costituzione è prima un
sentimento che una legge, e noi abbiamo avuto sotto gli occhi gli esempi
opposti di paesi intrinsecamente costituzionali, che pur non posseggono una
Costituzione vera e propria, e di paesi brutalmente incostituzionali, a
dispetto di Costituzioni moderne e perfettissime. Si è detto che il diritti,
non è la legge e si può soggiungere, a maggior ragione, che la Costituzione non
è la libertà.
Il Ministero per la Costituente,
curando la pubblicazione di tanti elaboratissimi Lesti costituzionali delle
repubbliche del dopoguerra, grandi e piccole, ha tracciato un desolante
panorama. Quasi tutti quegli statuti, cosi saviamente meditali per rendere
durevoli le libertà un giorno raggiante, hanno permesso il rapido sorgere di
dittature, quando larvate ed ipocrite, quando aperte ed insolenti.
In Italia le libertà furono
soppresse assai prima di giungere alla legislazione eversiva del 1925-1929,
pseudo giuridicizzazione, altrettanto clamorosa quanto inutile, di uno stato di
fatto già esistente.
Basta ricordare che tutte le più
solenni garanzie statutarie erano state sistematica-mente distrutte col
semplice ricorso all'innocuo articolo 3 della legge comunale e provinciale;
Così si credeva di dare una apparenza di legalità, ad atti di violenza che
andavano via via sopprimendo i fondamentali diritti di stampa, di riunione,
d'associazione, ecc.
La Costituzione può essere
lasciata formalmente in vigore (esempio italiano e tedesco) e venir manomessa e
sovvertita, nella pratica di governo, mediante capziose e ciniche
interpretazioni, o mediante violazioni che sono, di solito, tanto meno
denunziate e denunziabili quanto più sono flagranti e vistose.
La revisione, o l'abrogazione, di
uno statuto e la promulgazione di nuovi principi di convivenza sociale non
precedono i mutamenti nella struttura costituzionale dello Stato, ma seguono,
come regole di una politica già attuata.
Sarebbe ingenuo ed antistorico immaginare il
processo contrario, e cioé un sovvertimento costituzionale, in qualunque senso,
che non partisse dalla prassi, ma cominciasse da cauti e legali progetti di
ritocco della Costituzione.
Parrebbe, dunque, doppiamente
vano affaticarsi a garantire con speciali cautele e congegni la revisione della
Costituzione, quando da un lato la Costituzione, di per se stessa, è inadeguata
garanzia della libertà, e v'è, dall'altro, la certezza sperimentale che ogni
profonda revisione statutaria è soltanto la constatazione e la legalizzazione
di un rivolgimento politico anteriormente avvenuto e già operante nella realtà.
Ma cosi non è.
Nessuno dei congegni che sono
stati studiati, e si possono ulteriormente studiare, per sottrarre la legge
fondamentale al pericolo di facili ed avventati mutamenti, potrà impedire
l'usura di una Costituzione, il suo lento e naturale svuotarsi col progresso
del tempo, l'improvviso suo superamento quando si presenti una situazione
rivoluzionaria, e nemmeno, purtroppo, il pericolo di farisaiche ed elusive
applicazioni. E seppure esistessero, in teoria, mezzi per rendere immutabile lo
statuto, nessuno oserebbe assumere la responsabilità di una mosaica
pietrificazione, a meno di non ridurre il testo a pochissime, e assolutamente
generiche, affermazioni di diritto naturale.
Ciò che si deve pretendere è che
la Costituzione sia posta al riparo dalle transitorie oscillazioni della
politica e da quegli improvvisi ed effimeri scarti
d’umore da cui i popoli, e il nostro specialmente, non sono più immuni
degli individui. La Costituzione non deve essere ritoccata, o mutata, che
quando il popolo abbia manifestato, una sicura, ripetuta, durevole volontà di
riforma. A tal fine che, per fortunata coincidenza, è, insieme, l'unico
desiderabile e il solo raggiungibile, si possono dettare concrete e utili norme.
La serietà, l'amore, la cura che vogliamo porre nello sceglierle e nel perfezionarle
saranno, intanto, un primo contributo alla formazione di quella coscienza
costituzionale che rende vive ed efficienti le Costituzioni, scritte o tradizionali
che siano.
Come uno dei rappresentanti in questa
Sottocommissione, del Partito Socialista, chiedo di poter esprimere, per
incidente, un giudizio ed un voto.
La coscienza costituzionale è
elemento indispensabile per l'esercizio e la sicurezza dei diritti politici.
L'altro elemento è una coscienza internazionale della libertà.
Spinto alle sue estreme conseguenze, il principio del non intervento negli
affari interni degli altri, che ci ha mostrato un mondo civile spettatore impotente
davanti alla strazio della dignità e della vita umana perpetrato da Tirannici
regimi, fu l'humus delle dittature e
la causa prima della guerra.
La libertà è solidale, nel mondo
moderno, e nessun popolo è veramente libero e sicuro in casa propria, se i
popoli vicini, d'uguale sviluppo civile, non sono anch'essi liberi e sicuri.
D'onde, da un lato, il diritto statutario per il popolo d'appellarsi al
giudizio internazionale, e dall'altro un dovere di garanzia per la libertà
degli altri paesi.
* * * * *
E’ comune a tutte le dottrine
politiche moderne il concetto che una Costituzione non può essere
immodificabile. Il Partito a cui appartengo e, credo, tutte le correrti
politiche più disparate concordano nelle due massime formulate da G. D.
Romagnosi nella Scienza delle Costituzioni (parte II, libro III, titolo VII): «Niuna
generazione può assoggettare alle sue leggi le generazioni future » e « Un
popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare e di cangiare la sua
costituzione ». La Costituzione repubblicana non si porrà, sullo schema dello
statuto albertino, come legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile. E, con
ciò, si difenderà meglio da quelle ferite, che occasionali e capillari sotto i
Governi liberai-conservatori, divennero quotidiane e micidiali dopo l'avvento
del fascismo.
Il principio della rivedibilità
(con le garanzie di cui la revisione deve essere circondata) è iscritto in gran
parte delle Costituzioni moderne e pensiamo non possa mancare nella nostra.
Rivedibilità e garanzie della revisione sono legate all'idea di una
Costituzione rigida, quale è voluta, crediamo, da tutti i partiti e quale è
resa, anche tecnicamente, necessaria dalla progettata forma regionale.
Una Costituzione rigida non può
essere derogata con una legge ordinaria, ma attraverso una riforma che, secondo
i vari sistemi escogitati, sia votata per referendum, o sottoposta da una maggioranza
qualificata, o approvata da una Assemblea Nazionale formata dalle due Camere
riunite, dove le due Camere esistono.
Tutti questi sistemi hanno i loro
difetti. Il semplice referendum, svolgendosi
in poche settimane d'agitazione, può rispondere ad istanze passionali e fugaci,
piuttosto che a sicure esigenze politico-sociali, e rappresentare il prodotto
di una concitazione momentanea, piuttosto che l'epilogo di una duratura e
meditata volontà.
Il sistema della maggioranza
qualificata di tre quinti o di due terzi (Costituzione sovietica del 1936,
turca del 1924, ecc.), non sembra né democratico, né razionale. Non si comprende
perché quando il sessantasei per cento dell'elettorato e degli eletti reclama
una riforma, il trentaquattro per cento possa insistentemente impedirla, quante
volte venga proposta, senza possibilità d'appello. Quando la minoranza si ponga
in urto con la maggioranza e prevalendosi del privilegio costituzionale inverta
il principio maggioritario, tutto il sistema crolla e viene a determinarsi una
insopportabile antinomia. In pratica il Governo non può governare e il paese è
posto al bivio tra l'insurrezione e una sostanziale dittatura, mal dissimulata
sotto un velo di formale costituzionalità.
Certamente migliore il sistema
d'attribuire il potere di revisione ad una Assemblea Nazionale, composta dalle
due Camere riunite, ma anche questo, come gli altri metodi consistenti nel
sottoporre il progetto di riforma alla condizione che sia firmata da un quarto,
da un terzo, dalla metà dei deputati, sembra soltanto un espediente, del tutto
formale, per creare una distinzione tra il potere legislativo e il potere
costituente.
A bene considerare le cose,
vediamo che si tratta piuttosto di un modo speciale d'esercizio del potere
legislativo. L'Assemblea Nazionale, formata dalla Camera dei Deputati e dal
Senato, potrebbe anche chiamarsi Costituente, quando fosse riunita per decidere
un progetto di riforma della Costituzione, presentato nel corso della
legislatura. Ma ognuno comprende che sarebbe questione di nome. A parte le
definizioni giuridiche del potere costituente, vaghe e quasi sempre limitate
alla mera dichiarazione esterna e per nulla definitiva, che il potere
costituente... è il potere costituente, e cioè l'organo, o gli organi investiti
della facoltà di dettar leggi costituzionali, ciò che dà ad una Assemblea il
carattere reale ed intrinseco di Costituente ci sembra l'elezione fattane a
quel determinato fine, dopo una campagna elettorale che abbia come piattaforma
il mutamento della Costituzione. Tale carattere manca evidentemente ad una
assemblea formata dall'occasionale riunione delle due Camere che ad un certo
punto della loro vita legislativa approvano un progetto di riforma della
Costituzione.
Bisogna trovare un modo di
riforma che sfugga ai tre ordini di critiche che scaturiscono dalle precedenti
osservazioni e che nello stesso tempo non si presenti come troppo lungo e
macchinoso. E il seguente schema mi sembra conciliare abbastanza bene le
antitetiche esigenze, garantendo dal pericolo di decisioni precipitate
escludendo l'incongruenza d'una Costituzione conservata contro la volontà della
maggioranza, mantenendo una netta separazione tra potere legislativo e potere
costituente, senza perciò sottoporre la Nazione ad un particolare travaglio
politico.
ART. ....
Ogni proposta di modificazione
della Costituzione può essere introdotta dal Governo, o per iniziativa
parlamentare, secondo l'ordinaria procedura dei progetti di legge, ma deve
ottenere, in entrambe le Camere, una maggioranza pari almeno alla metà più uno
dei membri che organicamente le compongono.
La proclamazione stessa del
risultato affermativo determina lo scioglimento del Parlamento. Entro novanta
giorni saranno convocati i comizi elettorali e le nuove Camere dovranno, entro
un mese dalla loro rispettiva convocazione, porre ai voti, senza emendamenti,
il progetto già approvato dal disciolto Parlamento. Ove il progetto risulti
confermato, a normale maggioranza, esso diventa legge costituzionale. Dopo il
voto il Parlamento continua la sua ordinaria attività legislativa.
Non mi è parso di esigere, come
si leggi in diverse Costituzioni (spagnuola 1931, lituana 1938, ecc.), che il
progetto debba essere presentato da un certo numero di deputati, o di senatori,
mentre sembra opportuno precisare che la maggioranza debba calcolarsi sul
numero totale dei membri che compongono organicamente le Camere. Il caso storico
dell'emendamento Wallon, che diede origine alla Costituzione francese del 1875
per un solo voto di maggioranza, rende opportuno che dopo una deliberazione di
tanto interesse non sia possibile recriminare osservando che se non vi fossero
stati membri morti, o decaduti, o altrimenti impediti, l'esito sarebbe stato diverso.
Tale cautela non si ritiene più necessaria per il nuovo Parlamento, appena
eletto dopo una campagna che ha come oggetto precisamente la progettata
riforma.
Il divieto di apportare
emendamenti è poi necessario per non rendere illusoria la garanzia sostanziale
della doppia legislatura. Così non vedo una ragione sufficiente per introdurre
limitazioni di tempo, prescrivendo che la Costituzione non può essere mutata se
non dopo un certo numero di anni (Costituzione spagnuola). E’ proprio nel primo
periodo d'esperienza costituzionale che possono rivelarsi errori, o
manchevolezze, incorse nella redazione e rendersi necessarie aggiunte, o
varianti.
Infine la continuazione del
Parlamento, dopo esaurito l'esercizio del potere costituente, per i suoi
normali compiti legislativi, evita il turbamento e il danno di consultazioni
popolari non necessarie e troppo ravvicinate.
Di proposito ho omesso la
dichiarazione che la forma repubblicana non può essere sottoposta a revisione.
Nel leggerla in altre tavole costituzionali (progetto francese 1946, ecc.) pe
riportai una impressione di debolezza. Essa mi apparisce, inopportuna, inutile
e meno degna di quel sentimento repubblicano che, espresso a maggioranza dal
popolo italiano, è destinato a diventare nel futuro fondamento primo e parte
integrante della nostra coscienza politica.
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