(PDF) La ricostruzione dello stato e del paese porrà una vastità di problemi fra i primi, quello dei quadri. Si tratterà di creare tutto in ogni settore del lavoro, dell'economia, della finanza, dell'amministrazione, della cultura. E in ogni settore ha posto una competenza. Anche per i sostenitori tradizionali dello stato italiano centralizzato, la questione delle direzioni locali si presenterà insopprimibile. Non è dal centro, essa dalla periferia, dai comuni, dalle regioni, dalle organizzazioni del lavoro, da tutti, che sorgeranno le difficoltà che reclamano soluzioni immediate.
La soluzione è sul posto.
La realtà, ben più che la dottrina, spingerà verso il federalismo. La dottrina ci dice solo che il fascismo italiano ha le sue radici nella centralizzazione dello stato monarchico, che l'Unità ha piemontesizzato, così come il fascismo tedesco, ha le sue nell'avidità di potenza di una Germania prussianizzata. La dottrina ci dice che la rivoluzione francese si è installata nel centralismo dello stato assolutistico di Luigi XIV, come quella russa nel totalitarismo dello stato autocratico. La dottrina ci dice che, per passare dall' impero alla repubblica e per rendere più difficile un colpo di stato asburgico, nella confusione del dopo-guerra, la piccola Austria si organizzò in provincie federali, e che lo stato, così formato, ha potuto, in condizioni che nessun altro paese ha conosciuto peggiori; resistere non un giorno, ma anni, Vienna dieci, agli assalti della reazione cui mancava un punto d’appoggio.
La dottrina ci dice che la Spagna, paese che sotto molti aspetti rievoca il nostro, se avesse avuto il tempo di presentare al pronunciamento dei generali l'organizzazione federale della repubblica, avrebbe evitato la disfatta, nonostante gli aiuti dati ai ribelli da Mussolini e da Hitler.
L'Italia, di centro politico vitale, non aveva che Roma. Presa Roma, il fascismo, pur ancora inviso
universalmente al popolo dal Veneto alla Sicilia, si è considerato definitivamente trionfante. Noi non
possiamo ricostruire quell'Italia.
La costituzione di uno stato federale esige una coscienza generale federalista: altrimenti si costruisce sulla sabbia. Esige una tale coscienza nazionale per cui le regioni si considerino i baluardi più validi dell'unità nazionale. Se noi abbiamo questa coscienza nazionale, non del federalismo dobbiamo aver paura ma del centralismo. Bisogna che risorga, ricca e multiforme, la vita locale, e interessi sul posto tutti, compresi quei milioni di candidati alla bassa burocrazia e ai piccoli servizi mercenari che il mezzogiorno e le isole allevano come parassiti del paese, e che le provincie scompaiano coi prefetti si che non si senta più parlare di questi centri fittizi e correttori di vita locale. E che si spogli Roma, diventata una città pletorica, di pretoriani e di postulanti.
La preoccupazione, che in taluni arriva fino allo sgomento, per cui lo stato federale sarebbe privo di autorità è degna di un commissario di pubblica sicurezza. L'autorità dello stato democratico non deriva già dalle cariche di polizia, ma dalla coscienza che ogni cittadino ha di essere partecipe della vita dello stato. Nello stato federale, il potere centrale coordina, influenza e dirige: governa, non domina. Il fascismo e l'impero hanno la loro tomba naturale nella repubblica federale. Lo Stato federale non salva obbligatoriamente una democrazia dalla corruzione, ma le dà obbligatoriamente più centri essenziali di vita. Per l'Italia, esso si presenterà come l'organizzazione più razionale della democrazia post-fascista.
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