giovedì 2 giugno 2016

Non avere paura


(PDF) Nella seconda metà del Novecento, la scuola italiana ha fondamental­mente garantito un soddisfacente livello di libertà di insegnamento, con alcune rilevanti ma limitate eccezioni. Nei primi due decenni della cosid­detta guerra fredda ci furono ovviamente alcune limitazioni amministra­tive, quasi sempre indirette, nei confronti della cosiddetta "sinistra". Queste limitazioni, quasi sempre odiose e spesso anche ridicole, erano comunque minori e meno feroci delle limitazioni alla libertà d'insegnamento vigenti nei paesi che dicevano di "costruire" il comunismo storico novecentesco. È relativamente facile trarre un bilancio teorico da questo semplice fatto, ed esso sta nella conclusione che le società che garantiscono istituzionalmente un certo pluralismo culturale sono società più forti e stabilì di quelle che non riescono a garantirlo. È curioso che le società che storicamente non hanno istituzionalmente voluto garantire un pluralismo culturale (il fascismo, il nazismo, il comunismo di tipo sovietico, eccetera) vengono definite spesso erroneamente "totalitarie", laddove si tratta proprio del contrario, e cioè del fatto che la loro debolezza riproduttiva "totale" è tale da costringerle ad "amministrare" coattivamente un consenso organizzato che le società veramente "totalitarie" riescono invece a garantire in modo indiretto e non coattivo. È evidente che una totalità sociale si riproduce meglio con meccanismi flessibili ed indiretti che con meccanismi rigidi e diretti.

Il fatto dunque che nella scuola italiana, in particolare a partire dagli anni Sessanta, sia sempre stata normalmente garantita un'accettabile libertà di insegnamento non deve essere visto come una benevola concessione del potere, e neppure come il risultato di una grande forza organizzativa degli insegnanti salariati, ma come una modalità normale di funzionamento di un sistema sociale e politico sostanzialmente forte e stabile.
Entriamo però in un'epoca storica relativamente inedita, in cui stanno  cambiando moltissime cose. In una nota didattica come questa, in cui ci  occupiamo di un capitolo culturalmente molto anticapitalistico, è pertanto giusto chiederci se e fino a che punto potremo contare anche in futuro (o quantomeno, in un futuro ragionevolmente vicino) di condizioni di libertà di insegnamento paragonabili a quelle godute negli ultimi decenni del Novecento, in cui la scuola secondaria superiore ha potuto garantire spazi di critica e di "non allineamento" con i poteri politici ed economici. E’ que­sto un problema cruciale, con cui concluderemo questa nota didattica,
In estrema approssimazione, il sistema sociale che si sta definendo su scala mondiale e che abbiamo definito convenzionalmente come capitali­smo globalizzato diretto dall'autopotenziamento della tecnica non si fon­da (come il feudalesimo medioevale europeo o il comunismo storico nove­centesco) sulla negazione istituzionalizzata della libertà di opinione e di insegnamento, ma si basa anzi sul presupposto di una comunicazione plu­ralistica praticamente infinita. Questo non avviene ovviamente per bene­volenza, civiltà, etica del discorso, eccetera. Sono profondamente convinto che un sistema di sfruttamento sociale metterebbe fuori legge anche i po­stulati della geometria euclidea, se questo fosse necessario alla sua ripro­duzione. Ma, appunto, un simile sistema di sfruttamento sociale sarebbe debolissimo, perché finirebbe inevitabilmente con il concentrare tutte le dinamiche di espressione contro un unico punto unificato, cioè sé stesso. In proposito, ho sempre ritenuto che la questione teorica più interessante riguardo ai processi a Giordano Bruno ed a Galileo Galilei non consista nell'indignazione morale che essi oggi provocano, ma risieda invece nella debolezza riproduttiva di un sistema sociale che ha evidentemente il biso­gno di processare sia la filosofia che la scienza. Il moderno capitalismo globalizzato mi sembra per ora purtroppo fortissimo, e so bene che esso si basa sul principio dell'innovazione incessante, e non su quello della con­servazione o della stagnazione. Possiamo dunque ragionevolmente ipotiz­zare che esso non si baserà sull'istituzionalizzazione giuridica dell'impe­dimento della libertà di espressione e di insegnamento.
È allora fortemente probabile che vi saranno tecniche del consenso estre­mamente sofisticate e molto flessibili, come quelle che da quasi un secolo ormai sono all'opera negli Stati Uniti d'America, e che abbiamo visto re­centemente utilizzare anche in Europa ed in Italia nel 1999, durante l'ag­gressione menzognera ed assassina della NATO contro la Jugoslavia. In queste raffinate tecniche del consenso i mezzi di comunicazione di massa attuano una saturazione massiccia e capillare dell'opinione che deve risultare la sola politicamente corretta, mentre si ha una contestuale marginalizzazione di ogni eventuale dissenso radicale. Lo scopo di questa saturazione non sta tanto in un convincimento razionale, perché anzi la menzogna alla Goebbels è quasi sempre manifesta, ma nell'invio di un messaggio di conformità sociale, in cui l'individuo frammentato, flessibilizzato ed isolato del moderno capitalismo viene artificialmente risocializzato con una proposta tranquillizzante di adesione alla giusta opinione della stragrande maggioranza. La menzogna e la manipolazione sociale diventano così delle forme di artificiale (ma soddisfacente) ricostituzione della comunità (ideale) che il sistema economico capitalistico (reale) incessantemente dissolve attraverso i meccanismi anonimi del denaro. Il dissenziente è così punito, in modo indiretto con una esclusione simbolica, dalla rassicurante conformità alla nuova comunità, che pur essendo virtuale, fittizia e simbolica, è pur sempre la sola che concretamente esiste. Non pretendo affatto di aver scoperto qualcosa di nuovo, perché quanto ho qui detto può essere già letto in Tocqueville, a proposito dei nuovi meccanismi di conformismo democratico, ed in Adorno a proposito dei meccanismi di manipolazione dell'opinione pubblica.
La virtù principale, a questo punto, non è più solo l'intelligenza (che resta ovviamente essenziale), ma è anche ormai il coraggio. Si tratta, ovviamente, di un coraggio molto più virtuale di quello che a suo tempo seppe mostrare Giordano Bruno. Oggi il sistema non ti squarta più con le tenaglie roventi, ma ti isola in un ghetto marginale di opinioni ineffettuali (almeno per ora). Inoltre, come ho già rilevato nel saggio, siamo di fronte oggi ad una novità culturale e sociale molto rilevante, per cui la quasi totalità del ceto intellettuale è schierato completamente dalla parte del potere economico e politico. È questa, come si è detto, una situazione di rovesciamento integrale dell'Illuminismo. Se dunque questa è la situazione, è evidente che essa avrà risvolti anche e soprattutto per quanto riguarda il problema dell'insegnamento nella scuola e nelle università.
   Il problema, infatti, non è di tipo istituzionale, ma esclusivamente antropologico. L'enigma storico dell'immediato futuro, che non siamo ovviamente in grado di conoscere anticipatamente, non sta nel sapere se verrà o meno garantita legalmente la libertà di opinione e di insegnamento (è infatti quasi sicuro che verrà almeno formalmente garantita), ma sta nel sapere se di essa verrà fatto effettivamente uso. Il problema storico dell'immediato futuro sta al 90% nel tipo umano che verrà in qualche modo forato dai processi storici e sociali in corso. Abbiamo già suggerito nel saggio che la sconfitta, catastrofica e ridicola nello stesso tempo, del modello di vita sociale collettiva del comunismo storico novecentesco rispetto al capitalismo globalizzato post-borghese e post-proletario, è stata di natura molto più antropologica che economica e politica, a differenza di come si ostinano a diagnosticare analisi superficiali e frettolose. È infatti interessante rilevare che il comunismo realmente esistito (non quello utopicamente annunciato da Marx), formalmente costruito nel nome di eguaglianza, abbia dato luogo ad una delle più forsennate e dissennate ricerche della diseguaglianza che l'umanità abbia mai conosciuto (e dalla Russia all'Albania dell'ultimo decennio del Novecento non c'è purtroppo che l'imbarazzo penoso della scelta). Nello stesso modo, ed anzi in forma forse ancora più grottesca e caricaturale, il capitalismo reale, nominalmente costruito all'insegna della libertà, dà continuamente luogo a fughe individuali e collettive dalla libertà, che tutti agitano ma di cui nessuno sa veramente che cosa farsi, in direzione di adattamenti, conformismi ed adesioni a mode temporanee e superficiali. Se è vero che l'esperienza di massa del comunismo dà luogo alla ricerca della diseguaglianza, e l'esperienza di massa del capitalismo va in direzione della rinuncia alla libertà, sarà necessario che una filosofia degna di questo nome si interroghi su questo (apparente?) paradosso. Forse entrambe le due "metà" erano false, e si tratta di cominciare a ricomporre un intero credibile. È per questo che l'educazione filosofica, intesa come educazione critica alla saggezza dialogica, alla verità, ed infine alla legittimità della rivoluzione contro forme intollerabili di sfruttamento, resta uno dei pochi orizzonti sicuri e razionali dell'immediato futuro. Agli studenti ed agli insegnanti occorre mandare un messaggio semplice e chiaro: non abbiate paura se gli intellettuali ed i "maestri del pensiero" graditi al potere vi dicono cose che nella vostra coscienza critica sentite essere false; non cercate di essere accettati ad ogni costo dall'orchestra mediatica del conformismo sociale, anche perché essa è effimera e non è fatta per durare; ragionate con la vostra testa tenendo sempre come modelli grandi costellazioni del pensiero critico e filosofico, infinitamente meno obsolete del circo politico. In estrema sintesi, la saggezza si riduce ad una sola massima: non avere paura. Certo, è più facile dirlo che metterlo in pratica. Ma senza questa massima sarà molto difficile vivere nel mondo, imperiale e crudele, che si annuncia in questo terzo millennio.

Costanzo Preve - Educazione Filosofica - Petit plaisance - 2000

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