(PDF) Nella seconda metà del Novecento, la scuola italiana
ha fondamentalmente garantito un soddisfacente livello di libertà di
insegnamento, con alcune rilevanti ma limitate eccezioni. Nei primi due decenni
della cosiddetta guerra fredda ci furono ovviamente alcune limitazioni
amministrative, quasi sempre indirette, nei confronti
della cosiddetta "sinistra". Queste
limitazioni, quasi sempre odiose e spesso anche ridicole, erano comunque minori
e meno feroci delle limitazioni alla libertà d'insegnamento vigenti nei
paesi che dicevano di "costruire" il comunismo storico novecentesco. È relativamente facile trarre un bilancio
teorico da questo semplice fatto, ed esso sta nella conclusione che le
società che garantiscono istituzionalmente
un certo pluralismo culturale sono società più forti e stabilì di quelle
che non riescono a garantirlo. È curioso che le società che storicamente non hanno istituzionalmente voluto garantire
un pluralismo culturale (il fascismo, il nazismo, il comunismo di tipo
sovietico, eccetera) vengono definite spesso erroneamente "totalitarie", laddove si tratta proprio del
contrario, e cioè del fatto che la loro debolezza riproduttiva
"totale" è tale da costringerle ad "amministrare"
coattivamente un consenso organizzato
che le società veramente "totalitarie"
riescono invece a garantire in modo indiretto e non coattivo. È evidente che
una totalità sociale si riproduce meglio con meccanismi flessibili ed
indiretti che con meccanismi rigidi e
diretti.
Il fatto dunque che nella scuola italiana, in particolare a partire dagli anni Sessanta, sia sempre stata normalmente garantita un'accettabile libertà di insegnamento non deve essere visto come una benevola concessione del potere, e neppure come il risultato di una grande forza organizzativa degli insegnanti salariati, ma come una modalità normale di funzionamento di un sistema sociale e politico sostanzialmente forte e stabile.
Entriamo però in un'epoca storica relativamente inedita, in cui stanno cambiando
moltissime cose. In una nota didattica come questa, in cui ci occupiamo di un capitolo culturalmente molto
anticapitalistico, è pertanto giusto chiederci se e fino a che punto potremo
contare anche in futuro (o quantomeno,
in un futuro ragionevolmente vicino) di condizioni di libertà di insegnamento paragonabili a quelle godute negli
ultimi decenni del Novecento, in cui la scuola secondaria superiore ha
potuto garantire spazi di critica e
di "non allineamento" con i poteri politici ed economici. E’ questo un
problema cruciale, con cui concluderemo questa nota didattica,
In estrema approssimazione, il sistema sociale che
si sta definendo su scala mondiale e che
abbiamo definito convenzionalmente come
capitalismo globalizzato
diretto dall'autopotenziamento della
tecnica non si fonda (come il feudalesimo
medioevale europeo o il comunismo storico novecentesco) sulla negazione istituzionalizzata della libertà di opinione e di insegnamento,
ma si basa anzi sul presupposto di una
comunicazione pluralistica
praticamente infinita. Questo non avviene ovviamente per benevolenza, civiltà, etica del discorso, eccetera.
Sono profondamente convinto che un
sistema di sfruttamento sociale metterebbe fuori legge anche i postulati della
geometria euclidea, se questo fosse necessario alla sua riproduzione. Ma, appunto, un simile sistema di
sfruttamento sociale sarebbe debolissimo, perché finirebbe inevitabilmente con
il concentrare tutte le dinamiche di
espressione contro un unico punto
unificato, cioè sé stesso. In
proposito, ho sempre ritenuto che la questione teorica più interessante riguardo
ai processi a Giordano Bruno ed a Galileo Galilei non consista nell'indignazione morale che essi oggi provocano,
ma risieda invece nella debolezza
riproduttiva di un sistema sociale che ha evidentemente il bisogno di processare sia la filosofia che la scienza.
Il moderno capitalismo globalizzato mi sembra per ora purtroppo fortissimo, e so bene che esso si basa sul principio dell'innovazione incessante, e non su quello della
conservazione o della stagnazione. Possiamo dunque ragionevolmente ipotizzare
che esso non si baserà sull'istituzionalizzazione giuridica dell'impedimento
della libertà di espressione e di insegnamento.
È allora
fortemente probabile che vi saranno tecniche
del consenso estremamente sofisticate e
molto flessibili, come quelle che da quasi un secolo ormai sono all'opera negli Stati Uniti d'America, e
che abbiamo visto recentemente utilizzare anche in Europa ed in Italia nel
1999, durante l'aggressione menzognera
ed assassina della NATO contro la Jugoslavia. In queste raffinate tecniche del consenso i mezzi di
comunicazione di massa attuano una saturazione massiccia e capillare
dell'opinione che deve risultare la sola politicamente corretta, mentre si ha
una contestuale marginalizzazione di
ogni eventuale dissenso radicale. Lo scopo di questa saturazione non sta tanto
in un convincimento razionale, perché anzi la menzogna alla Goebbels è quasi
sempre manifesta, ma nell'invio di un messaggio di conformità sociale, in cui l'individuo frammentato, flessibilizzato
ed isolato del moderno capitalismo viene artificialmente risocializzato con una proposta tranquillizzante di adesione alla giusta opinione della
stragrande maggioranza. La menzogna e la manipolazione sociale diventano così
delle forme di artificiale (ma soddisfacente) ricostituzione della comunità (ideale) che il sistema economico
capitalistico (reale) incessantemente dissolve attraverso i meccanismi anonimi
del denaro. Il dissenziente è così punito, in modo indiretto con una esclusione
simbolica, dalla rassicurante conformità alla nuova comunità, che pur essendo
virtuale, fittizia e simbolica, è pur sempre la sola che concretamente esiste.
Non pretendo affatto di aver scoperto qualcosa di nuovo, perché quanto ho qui
detto può essere già letto in Tocqueville, a proposito dei nuovi meccanismi di
conformismo democratico, ed in Adorno a proposito dei meccanismi di
manipolazione dell'opinione pubblica.
La virtù principale, a questo punto, non è più solo
l'intelligenza (che resta ovviamente
essenziale), ma è anche ormai il coraggio.
Si tratta, ovviamente, di un coraggio molto più virtuale di quello che a suo
tempo seppe mostrare Giordano Bruno. Oggi il sistema non ti squarta più con le
tenaglie roventi, ma ti isola in un ghetto marginale di opinioni ineffettuali
(almeno per ora). Inoltre, come ho già rilevato nel saggio, siamo di fronte
oggi ad una novità culturale e sociale molto rilevante, per cui la quasi totalità del ceto intellettuale è
schierato completamente dalla parte del potere economico e politico. È questa,
come si è detto, una situazione di rovesciamento integrale dell'Illuminismo. Se dunque questa è la situazione, è
evidente che essa avrà risvolti anche e soprattutto per quanto riguarda il
problema dell'insegnamento nella scuola e nelle università.
Il problema, infatti, non è di tipo istituzionale, ma esclusivamente antropologico. L'enigma storico dell'immediato futuro, che non siamo ovviamente in grado di conoscere anticipatamente, non sta nel sapere se verrà o meno garantita legalmente la libertà di opinione e di insegnamento (è infatti quasi sicuro che verrà almeno formalmente garantita), ma sta nel sapere se di essa verrà fatto effettivamente uso. Il problema storico dell'immediato futuro sta al 90% nel tipo umano che verrà in qualche modo forato dai processi storici e sociali in corso. Abbiamo già suggerito nel saggio che la sconfitta, catastrofica e ridicola nello stesso tempo, del modello di vita sociale collettiva del comunismo storico novecentesco rispetto al capitalismo globalizzato post-borghese e post-proletario, è stata di natura molto più antropologica che economica e politica, a differenza di come si ostinano a diagnosticare analisi superficiali e frettolose. È infatti interessante rilevare che il comunismo realmente esistito (non quello utopicamente annunciato da Marx), formalmente costruito nel nome di eguaglianza, abbia dato luogo ad una delle più forsennate e dissennate ricerche della diseguaglianza che l'umanità abbia mai conosciuto (e dalla Russia all'Albania dell'ultimo decennio del Novecento non c'è purtroppo che l'imbarazzo penoso della scelta). Nello stesso modo, ed anzi in forma forse ancora più grottesca e caricaturale, il capitalismo reale, nominalmente costruito all'insegna della libertà, dà continuamente luogo a fughe individuali e collettive dalla libertà, che tutti agitano ma di cui nessuno sa veramente che cosa farsi, in direzione di adattamenti, conformismi ed adesioni a mode temporanee e superficiali. Se è vero che l'esperienza di massa del comunismo dà luogo alla ricerca della diseguaglianza, e l'esperienza di massa del capitalismo va in direzione della rinuncia alla libertà, sarà necessario che una filosofia degna di questo nome si interroghi su questo (apparente?) paradosso. Forse entrambe le due "metà" erano false, e si tratta di cominciare a ricomporre un intero credibile. È per questo che l'educazione filosofica, intesa come educazione critica alla saggezza dialogica, alla verità, ed infine alla legittimità della rivoluzione contro forme intollerabili di sfruttamento, resta uno dei pochi orizzonti sicuri e razionali dell'immediato futuro. Agli studenti ed agli insegnanti occorre mandare un messaggio semplice e chiaro: non abbiate paura se gli intellettuali ed i "maestri del pensiero" graditi al potere vi dicono cose che nella vostra coscienza critica sentite essere false; non cercate di essere accettati ad ogni costo dall'orchestra mediatica del conformismo sociale, anche perché essa è effimera e non è fatta per durare; ragionate con la vostra testa tenendo sempre come modelli grandi costellazioni del pensiero critico e filosofico, infinitamente meno obsolete del circo politico. In estrema sintesi, la saggezza si riduce ad una sola massima: non avere paura. Certo, è più facile dirlo che metterlo in pratica. Ma senza questa massima sarà molto difficile vivere nel mondo, imperiale e crudele, che si annuncia in questo terzo millennio.
Costanzo Preve - Educazione Filosofica - Petit plaisance - 2000
Il problema, infatti, non è di tipo istituzionale, ma esclusivamente antropologico. L'enigma storico dell'immediato futuro, che non siamo ovviamente in grado di conoscere anticipatamente, non sta nel sapere se verrà o meno garantita legalmente la libertà di opinione e di insegnamento (è infatti quasi sicuro che verrà almeno formalmente garantita), ma sta nel sapere se di essa verrà fatto effettivamente uso. Il problema storico dell'immediato futuro sta al 90% nel tipo umano che verrà in qualche modo forato dai processi storici e sociali in corso. Abbiamo già suggerito nel saggio che la sconfitta, catastrofica e ridicola nello stesso tempo, del modello di vita sociale collettiva del comunismo storico novecentesco rispetto al capitalismo globalizzato post-borghese e post-proletario, è stata di natura molto più antropologica che economica e politica, a differenza di come si ostinano a diagnosticare analisi superficiali e frettolose. È infatti interessante rilevare che il comunismo realmente esistito (non quello utopicamente annunciato da Marx), formalmente costruito nel nome di eguaglianza, abbia dato luogo ad una delle più forsennate e dissennate ricerche della diseguaglianza che l'umanità abbia mai conosciuto (e dalla Russia all'Albania dell'ultimo decennio del Novecento non c'è purtroppo che l'imbarazzo penoso della scelta). Nello stesso modo, ed anzi in forma forse ancora più grottesca e caricaturale, il capitalismo reale, nominalmente costruito all'insegna della libertà, dà continuamente luogo a fughe individuali e collettive dalla libertà, che tutti agitano ma di cui nessuno sa veramente che cosa farsi, in direzione di adattamenti, conformismi ed adesioni a mode temporanee e superficiali. Se è vero che l'esperienza di massa del comunismo dà luogo alla ricerca della diseguaglianza, e l'esperienza di massa del capitalismo va in direzione della rinuncia alla libertà, sarà necessario che una filosofia degna di questo nome si interroghi su questo (apparente?) paradosso. Forse entrambe le due "metà" erano false, e si tratta di cominciare a ricomporre un intero credibile. È per questo che l'educazione filosofica, intesa come educazione critica alla saggezza dialogica, alla verità, ed infine alla legittimità della rivoluzione contro forme intollerabili di sfruttamento, resta uno dei pochi orizzonti sicuri e razionali dell'immediato futuro. Agli studenti ed agli insegnanti occorre mandare un messaggio semplice e chiaro: non abbiate paura se gli intellettuali ed i "maestri del pensiero" graditi al potere vi dicono cose che nella vostra coscienza critica sentite essere false; non cercate di essere accettati ad ogni costo dall'orchestra mediatica del conformismo sociale, anche perché essa è effimera e non è fatta per durare; ragionate con la vostra testa tenendo sempre come modelli grandi costellazioni del pensiero critico e filosofico, infinitamente meno obsolete del circo politico. In estrema sintesi, la saggezza si riduce ad una sola massima: non avere paura. Certo, è più facile dirlo che metterlo in pratica. Ma senza questa massima sarà molto difficile vivere nel mondo, imperiale e crudele, che si annuncia in questo terzo millennio.
Costanzo Preve - Educazione Filosofica - Petit plaisance - 2000
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