martedì 2 maggio 2017

Il Pci e l’antieuropeismo ideologico/acritico

(PDF) La prima fase del rapporto tra il Pci e l’Europa si caratterizza, come avremo modo di vedere, per un rifiuto totale del processo d’integrazione europea che vede il partito assumere un atteggiamento di totale disinteresse verso una realtà che viene in tutto e per tutto ignorata. A questo livello vedremo come vi sarà una totale coincidenza tra discorso coordinativo e discorso comunicativo del partito. Tanto negli organi decisionali, quanto nei dibattiti parlamentari, nella stampa e nei testi pubblicati, il processo di integrazione europea sarà rifiutato in maniera aprioristica e per certi versi acritica, dato che non vi sarà
un’elaborazione autonoma da parte del partito, ossia fuori dagli schemi classici della logica bipolare. L’opposizione all’Europa trovava le sue radici nei tratti identitari del Pci, nella sua collocazione internazionale96, facendo sì che il processo d’integrazione europea venisse a contatto con la “carne viva” del partito.

In questa prima fase vedremo come, se da un lato l’Europa non sarà sicuramente al centro dell’agenda internazionale del partito poiché le priorità saranno ben altre, dall’altro
l’aver inserito l’Europa all’interno della cornice della guerra fredda, considerandola una “creatura” del blocco avverso, avrebbe contribuito ad irrobustire il bagaglio ideologico del
partito. L’antieuropeismo delle origini genererà, anche per questo, un lascito che andrà ben oltre la prima fase. Una ricostruzione del rapporto tra il Pci ed il processo
d’integrazione europea ritengo debba iniziare dall’esplicitazione di un dato di fatto che, per quanto apparentemente scontato, ai fini della nostra analisi ricorrerà come una delle chiavi di lettura del presente lavoro: “I partiti cattolici furono insieme alle correnti laiche e a una parte del socialismo democratico i protagonisti della prima fase della costruzione della piccola Europa dei sei”.97 L’Europa avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella storia dei partiti comunisti dell’Europa occidentale98 nella misura in cui sarà dalla paura del Comunismo e di una sua vittoria anche in alcuni Paesi dell’Europa occidentale che verrà una spinta sostanziale al processo d’integrazione europea. Infatti, pur non essendo l’unico fattore determinante, la guerra fredda ha in un certo senso “assistito” il processo di integrazione europea: gli Stati Uniti hanno sostenuto esplicitamente la costruzione comunitaria e i partiti comunisti, inizialmente indifferenti a forme di integrazione europea99, sarebbero divenuti apertamente ostili a forme di integrazione dalla nascita del Comintern in poi ( settembre 1947). L’Europa venne così identificata da tutti i partiti comunisti occidentali come capitalista, Atlantica, riformista e come un ostacolo per la Rivoluzione.100 Per quel che riguarda invece la sinistra europea, ossia quella che sin dai primi anni della costruzione comunitaria si muoveva ed operava al suo interno, essa si presentava quasi ovunque come riformista e socialdemocratica, schierata contro il comunismo. In maniera tacita o espressa il socialismo europeo si era sbarazzato dei residui del programma massimalista volto al superamento del capitalismo e che aveva condiviso per tutto il periodo tra le due guerre, ponendosi invece obiettivi pienamente “compatibili con un’economia di mercato ed un sistema sociale di tipo capitalistico”.101

Il processo di costruzione europea era quindi, nei suoi atti costituivi, un corpo del tutto estraneo al Pci sia dal punto di vista teorico che pratico: gli ideali ed i concreti provvedimenti di natura economica e politica a livello comunitario erano totalmente avulsi da esso. Il partito comunista italiano, condividendo questa visione con il partito comunista sovietico oltre che con gli altri partiti comunisti occidentali come quello francese, avrebbe adottato subito un atteggiamento di aperta condanna verso la Comunità europea. Essa era vista come uno strumento al servizio dell’imperialismo che aveva il duplice obiettivo di
soggiogare politicamente ed economicamente l’Europa agli Stati Uniti e di rafforzare l’offensiva imperialista contro il blocco dei Paesi socialisti guidati dall’Urss.102 Come osserva Di Nolfo,103 la guerra fredda, prima di essere scontro diplomatico, o marginalmente militare, era un confronto tra l’egemonia economica statunitense, unitamente al sistema di interdipendenze che essa creava su scala globale, e il tentativo sovietico di rispondere ad
essa mostrandone contraddizioni e fragilità. La guerra fredda era così uno scontro tra sistemi economici e il processo d’integrazione europea che, richiamando la celebre dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, mirava a creare una solidarietà di fatto tra gli stati europei, attraverso una sempre maggiore collaborazione in campo economico, si inseriva all’interno di uno dei due blocchi: quello americano. L’incontro tra il Pci e l’Europa avveniva così sulla base di un progetto, quello europeo, che era considerato del tutto estraneo oltre che ostile al discorso elaborato dal Pci. Qualsiasi tipo di iniziativa europeo occidentale era così osteggiata, contrapponendovi una diversa visione del mondo e demolendone i principi fondativi. Ogni progetto politico europeo, indipendentemente dalla diversa declinazione filosofica, politica o ideologica era rifiutato in maniera aprioristica: tutto doveva essere subordinato alla lotta per il socialismo. In tal senso è indicativo quanto dichiarato in un’intervista da Antonio Giolitti che, sino al ‘57 era stato un esponente di primo piano del Pci in materia di politica economica e politica estera. Egli affermava come, finché aveva fatto parte del Pci, il tema dell’Unione Europea fosse sempre stato semplicemente “snobbato, essendo dato per scontato che (fosse) un’operazione di
marca capitalistico-imperialistica”104.

L’antieuropeismo del Pci trovava così le sue basi in una chiara collocazione internazionale del partito che lo vedeva far parte ideologicamente del blocco contrapposto a quello occidentale. Infatti, i primissimi anni che fecero seguito al secondo conflitto mondiale videro il rapido sgretolamento della coalizione antinazista e l’emergere ed il progressivo irrigidimento di due visioni del mondo contrapposte che avrebbero portato in pochissimo tempo alla cristallizzazione di un sistema delle relazioni internazionali basato su una logica bipolare. Se a livello interstatale i singoli Paesi europei adottarono una politica estera in tutto e per tutto coerente con il blocco di riferimento, a livello intrastatale il bipolarismo comportò una netta divaricazione tra le forze di sinistra social-comuniste che avevano nell’Urss il modello di riferimento e quelle di matrice liberal-democratica, laica e cattolica. Tale netta spaccatura in Italia era ancor più marcata per la presenza del maggior partito comunista dell’Europa occidentale e per il “patto d’unità d’azione” stretto, nel 1943, tra questo ed il Partito socialista italiano che sarebbe culminato con la presentazione di un fronte unitario alle elezioni politiche del 1948.

Oltre all’influenza dell’Urss sulla posizione del Pci, non va nemmeno trascurato il ruolo di partito di opposizione che esso giocò nel quadro politico italiano.105 Infatti, nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni cinquanta “ogni movimento di lotta e di protesta, sia di carattere economico che politico, ebbe il Pci come proprio referente politico e come luogo di elaborazione, organizzazione e direzione”106. Sarà solo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta che il Pci cesserà di essere l’unico rappresentante dei movimenti di lotta e di protesta. L’antieuropeismo del Pci ha quindi anche una radice interna dovuta al suo farsi difensore degli interessi di quei pezzi di società che non si riconoscevano nelle scelte fatte dalle forze al governo. Inoltre, secondo l’analisi condotta da N. Conti e L. Verzichelli, l’antieuropeismo del partito era dettato, a livello della dimensione politica nazionale, non solo dalla dialettica maggioranza/opposizione, ma anche dalla distanza del partito dal “centro dello spettro politico”.107 Il primo decennio del processo di integrazione europea
vede così il Pci attestarsi su una posizione di rigido antieuropeismo, non a caso S. Galante parla di questi anni come “decennio del rifiuto”.108 Tale antieuropeismo, che abbiamo definito di tipo ideologico, si rivela coerentemente lineare sotto il profilo del legame con l’Urss: modificazioni di rilievo di tale rapporto si sarebbero avute solo a partire dalla fine degli anni sessanta. Infatti, in quegli anni il rapporto con l’Urss costituì “l’unico terreno su cui non esistette mai nel partito una contrapposizione tra destra e sinistra, tra duri e moderati, tra riformisti e massimalisti”.109

Il partito era schierato su posizioni rigidamente filosovietiche ed ogni idea di sovranazionalità era respinta, soprattutto se si riferiva al solo campo occidentale. La difesa dell’indipendenza e della sovranità nazionale era perseguita con ogni mezzo e la politica estera governativa era “percepita e presentata come partecipazione intenzionale a un disegno ispirato dall’anticomunismo straniero e indigeno ai cui interessi subordinava, compromettendoli, quelli interni ed esterni della nazione”.110 È cosi possibile evincere come l’iniziativa della Ceca fosse vista dal partito comunista come una operazione negativa non solo perché di stampo chiaramente capitalistico, ma anche perché ritenuta svantaggiosa economicamente per un’Italia che appariva come “la cenerentola che pagava nell’accordo tra i due grandi”111. La stessa ferma opposizione sarebbe stata mostrata dal partito nei confronti del fallito tentativo della Ced, che sarebbe stato visto come una semplice filiazione del Patto Atlantico. È molto importante sottolineare, ai fini della nostra analisi, come il “discorso” sull’Europa del Pci, in quella che abbiamo identificato come prima fase del suo rapporto con essa, fosse molto forte anche se in chiave negativa. Secondo una formulazione che si può far discendere da Marx in persona ed in seconda battuta da Lenin112,vi era una chiara opposizione ideologica a qualsiasi forma di collaborazione tra gli Stati europei che non avesse come presupposto il superamento del capitalismo e la conquista del potere da parte del proletariato. Qualsiasi iniziativa di collaborazione tra Stati promossa in Occidente era così ritenuta ostile
apriori.

Infatti, già durante gli anni del secondo conflitto mondiale l’Unione Sovietica si era opposta a qualsiasi iniziativa volta a progettare, per il periodo post-bellico, forme di raggruppamento regionale per l’Europa.113 Da questo derivava anche l’interscambiabilità, agli occhi del Partito comunista italiano, dei binomi Europa/Nato, europeismo/atlantismo che si protrarranno nel corso di molti anni a venire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È indicativo come in questi anni il termine adoperato negli ambienti del partito comunista per indicare il processo d’integrazione europea fosse quello di Mercato Comune piuttosto che di Comunità Europea, proprio per volerne marcare la chiara connotazione capitalistica del fenomeno che, in quanto tale, andava avversato. Adottare il termine Comunità per definire il fenomeno europeo avrebbe significato introdurre una visione più vasta del processo, mirante ad un’integrazione anche di tipo politico114, cosa che in quegli anni era lontana anni luce dalla posizione del Partito. Una parziale eccezione in questa prima fase di antieuropeismo ideologico del Pci sarà costituita dagli anni della Resistenza e della lotta al fascismo: la speranza di liberare il continente dai totalitarismi di destra e la volontà di riportare la pace attraverso la sconfitta dei nazionalismi aveva, forse solo per un momento, fatto condividere a federalisti e comunisti115 l’idea che il sistema internazionale fosse irrimediabilmente compromesso e andasse ricostruito su nuove basi. Tuttavia, l’attenzione che il Pci gli avrebbe conferito sarebbe stata modesta e comunque subordinata alla lotta principale: quella per il socialismo. Ad ogni modo la Conferenza di Yalta ed il rafforzamento della logica bipolare avrebbero posto sin da subito una pietra tombale su qualsiasi forma di collaborazione tra i due movimenti.

Infatti, sino alla morte di Togliatti si può sicuramente affermare come l’europeismo avesse rivestito un ruolo marginale all’interno della definizione delle linee di politica estera del partito. Per quanto dopo la morte di Stalin, Togliatti manifestasse delle perplessità sulla leadership di Khrushchev, allo stesso tempo non c’era nulla che potesse fargli venir meno la convinzione che il “campo vincente” fosse quello sovietico e che le Comunità europee appartenessero al campo avverso. Era “la sua filosofia della storia lo portava a questa certezza”116 e di conseguenza l’atteggiamento del partito verso il processo comunitario non poteva che discendere da tale presupposto. Essere in conflitto con quella filosofia significava, come testimonia A.Giolitti,117 dover uscire fuori dal partito. È per questa ragione che l’esponente del Pci nella già citata intervista affermava come non si potesse parlare di aperture sostanziali del Pci, nei confronti dell’Europa, sino alla morte di Togliatti. È possibile ravvisare un atteggiamento meno drasticamente ostile nell’ultimo Togliatti, ma di certo non vi erano riflessi concreti sul piano degli orientamenti politici, né su quello del discorso verso la base. D’altronde, andando a sfogliare le riviste comuniste o simpatizzanti, sino alla morte di Togliatti, non si trovava alcuna riflessione deideologizzata sul processo europeo che porti la firma di qualche esponente comunista.118

Spostando la nostra attenzione alle prime discussioni che si sarebbero svolte in ambito parlamentare, è possibile avere conferma dell’opposizione della sinistra al processo d’integrazione europea, che quindi sarebbe stata evidente anche in queste sede. Il primo dibattito parlamentare sulle tematiche europee si svolse nel giugno-luglio 1948. Esso trattava il tema dell’adesione dell’Italia all’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (Oece) e vide i voti favorevoli di cattolici, liberali e socialdemocratici, l’astensione del Movimento sociale italiano e il voto contrario del Psi e del Pci. Le opposizioni, come evidenziato dalla mozione presentata da Nenni e di cui Pesenti fu relatore, non facevano alcuna distinzione tra Stati Uniti ed Europa: qualsiasi adesione italiana ad organismi europei avrebbe, ai loro occhi, rafforzato il posizionamento filoatlantico del Paese. Anche il dibattito sull’adesione italiana al Consiglio d’Europa si mosse sulla falsa riga di quello sull’Oece, mentre la ratifica italiana alla Comunità Europea di Difesa (Ced) non vide alcuna disamina da parte del Parlamento a causa del sopravvenuto scioglimento delle Camere119. Un dibattito vero e proprio si ebbe in Parlamento, invece, in seguito alla ratifica del trattato istitutivo della Ceca, firmato a Parigi il 18 aprile 1951. La relazione contraria di minoranza, firmata dall’esponente del Pci Pastore, non fece ricorso ad analisi di mercato, né a considerazioni di politica economica, ma si limitò ad esprimere il sospetto che i veri protagonisti dell’iniziativa sarebbero stati i grandi monopoli della Ruhr, alcuni gruppi americani e quelli siderurgici francesi della regione della Lorena120.

In questi stessi anni anche i socialisti italiani, pur fra differenziazioni e distinguo, erano allineati al comunismo staliniano e, con una scelta di campo di segno diametralmente opposto ai grandi partiti socialdemocratici europei, avevano rinunciato alla propria autonomia ponendosi in uno stato che denotava una certa subalternità rispetto al Pci.121 In realtà, i temi di politica estera avevano comunque portato ad una prima scissione nell’ambito della sinistra: nel gennaio del 1947 i riformisti filoatlantici guidati da Saragat, in disaccordo con la linea sostenuta dal Segretario Nenni in tema di alleanze internazionali, avevano abbandonato il Psi con la famosa scissione di Palazzo Barberini. Tuttavia, sarà solo dopo la morte di Stalin ed il successo elettorale del 1953, che il Psi muoverà i primi passi nella direzione di un progressivo distacco dal Pci e di un’apertura verso posizioni più filoatlantiche e europeiste, senza però fare subito propria la tradizione socialdemocratica o riformista. L’evoluzione della crisi del mondo comunista con il rapporto tenuto da Nikita Khrushchev al XX Congresso del Pcus che segna l’avvio del processo di “destalinizzazione” e la repressione, nel novembre del 1956, della rivolta ungherese da parte delle forze sovietiche, apriranno la strada alla prospettiva di un’apertura a sinistra in Italia che si concretizzerà con l’avvio dell’epoca dei governi di centro-sinistra ed al mutamento della visione internazionale ed europea del Psi. Sarà proprio la crisi ungherese a dividere definitivamente la posizione del Psi di Nenni da quella del Pci di Togliatti in merito ai rapporti con l’Urss ed alla differente visione sulla collocazione internazionale dell’Italia122. Come però avrà modo di osservare Ignazi, “l’accettazione piena della democrazia dopo il 1956 (da parte del Psi), per quanto genuina, era priva di fondamento teorico”123. Ciononostante, il 1957 rappresenterà per il Partito socialista l’anno in cui esso abbandonerà il proprio atteggiamento negativo nei confronti della costruzione europea. L’occasione sarà costituita dalla ratifica in Parlamento dei trattati istitutivi delle due Comunità: l’Euratom e la Cee; in tale occasione esso voterà a favore del primo e si asterrà sul secondo. Il dibattito parlamentare sulla Comunità Europea si svolse nella seconda metà di luglio del 1957 e vide il Pci presentare una propria mozione a firma di Giuseppe Berti.

Come abbiamo visto, la nuova posizione dei socialisti aveva indebolito il peso dell’opposizione di sinistra che vedeva, quindi, il solo Pci esprimere parere contrario in Parlamento. L’intervento di Gian Carlo Pajetta alla Camera il 25 luglio 1957 ribadiva con forza quella che era stata la posizione del partito nel primo decennio dell’integrazione europea: il Pci non contestava che vi fosse un processo di sempre più accentuata collaborazione internazionale, ma riteneva che le Comunità prospettate andassero nella direzione di una divisione dell’Europa, della creazione di quella che Pajetta definiva come “piccola Europa” dei monopoli124. Di quei monopoli che, per l’esponente comunista, avevano accettato la politica europea di guerra e di soggezione all’imperialismo tedesco sino alla fine della seconda guerra mondiale. Il processo di integrazione europea era quindi visto come entità non autonoma in quanto dipendente politicamente ed economicamente dagli Stati Uniti che la indirizzavano contro l’Unione Sovietica. Nelle parole di Pajetta il mercato comune, lungi dall’essere un passo fondamentale verso l’integrazione europea, rappresentava una tappa ulteriore di rafforzamento della divisione in blocchi dell’Europa. Già nel discorso alla Camera nel 1957, Pajetta teneva a precisare come il Pci non accettasse le critiche, che gli erano state mosse dai liberali con Malagodi e dal socialista Lombardi, di essere conservatori e sostenitori di un’economia basata su principi di stampo chiaramente protezionista. La non accettazione del Mercato Comune era anche motivata, dall’esponente comunista, con l’esiguità del numero dei Paesi aderenti alle Comunità europee e con le barriere che inevitabilmente si sarebbero create con i restanti Paesi, ivi inclusi quelli dell’est Europa. Rigettando la narrazione comunitaria che vedeva la nascita della Cee come strumento di cooperazione tra gli Stati, Pajetta affermava come la solidarietà internazionale si manifestasse nel votare contro il mercato comune dato che esso mirava a ledere fortemente l’indipendenza nazionale, favorendo organi di natura non democratica che pretendevano di decidere le sorti delle classi lavoratrici in base ad interessi dettati da “alleanze intermonopolistiche”.125

La prima fase del rapporto tra il Pci e l’Europa, quindi, quella che abbiamo definito dell’antieuropeismo ideologico trovava, inoltre, una sua chiara esemplificazione nello
scritto di Togliatti del 1958, intitolato “Il Partito Comunista Italiano”.126 L’occasione per la pubblicazione di questo testo venne dall’iniziativa, da parte della casa editrice Nuova Accademia, di pubblicare una serie di saggi sulla storia dei partiti politici in Italia; si è di fronte così ad un testo di carattere divulgativo destinato ad un pubblico non strettamente di partito. Nell’ultimo capitolo del suo saggio, il segretario tracciava con estrema chiarezza la visione del mondo che era alla base dell’identità stessa del Pci. Egli riteneva come, sul finire degli anni ‘50 fosse possibile identificare due linee caratterizzanti l’evoluzione della situazione internazionale e del progresso umano.127 Una, quella capitalista, era ritenuta da Togliatti inevitabilmente in fase discendente, mentre l’altra, quella socialista, era vista in fase ascendente. Il processo d’integrazione europea faceva indubbiamente parte, per Togliatti, della prima delle due linee ed in quanto tale sarebbe stato destinato ad un’inesorabile declino. Esso infatti era visto come un’associazione tra Stati diversi che “ non vuole affatto giungere a una trasformazione della struttura economica di questi Stati tale che sopprima lo sfruttamento del lavoro e lo strapotere dei monopoli, anzi, mira a rafforzare e mantenere l’ordinamento capitalistico”.128 L’Europa diveniva anche l’occasione per rispondere alle critiche che da più parti erano solitamente mosse nei confronti del Pci, da parte delle altre forze politiche (Democrazia cristiana in primis), in ragione della sua appartenenza al movimento comunista internazionale che esse ritenevano andasse inevitabilmente a scapito degli interessi della nazione. Togliatti, se da un lato affermava
come ogni movimento politico avesse la tendenza a stabilire contatti al di fuori del proprio Paese, dall’altro trovava strano come coloro che si scagliavano contro l’internazionalismo dl partito fossero gli stessi artefici dell’ingresso dell’Italia nelle Comunità europee, da egli definite in maniera spregiativa come “piccola Europa”,129 in quanto organizzazione che comprendeva solamente il blocco capitalista dei Paesi europei. Inoltre, per il segretario del Pci, mentre la classe operaia e le sue organizzazioni politiche erano spinte a cooperare perché unite da un “grande ideale” che le univa nella volontà di aiutarsi a vicenda, in vista di un comune nemico da abbattere, ossia il capitalismo, il processo europeo, si poneva agli antipodi di tale visione, poiché mirava alla sua perpetuazione.

Il testo di Togliatti, seppur cronologicamente collocato all’interno di quella che abbiamo definito come seconda fase del rapporto tra il partito e l’Europa e che analizzeremo di qui a poco, ci rivela come, nel momento in cui si trattava di “motivare” la base più ampia dell’elettorato comunista e di trasmettere all’esterno le linee di politica estera del partito, il richiamo all’ideologia profonda del partito prevalesse sull’elaborazione di nuove strategie.

Cirulli Giuseppe - La sinistra italiana ed il processo di integrazione europea: la transizione del PCI attraverso il suo discorso sull'Europa

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96 A tal proposito N. Conti e L. Verzichelli, sulla scorta di un’analisi condotta su un’ampia selezione di documenti partitici, sottolineano come per lungo tempo, in Italia, la scelta europea sia stata innanzitutto una scelta di tipo geopolitico. N. Conti, L. Verzichelli, “Europeanisation and partisan structure in Italy” in E. Külahci (edited by), Europeanisation and party politics. How the EU affects domestic actors, patterns and systems, cit., pp.55-56.
97 M. Telò, “ L’Italia nel processo d’integrazione europea” in Storia dell’Italia Repubblicana, vol. III, tomo I, Torino, Einaudi, 1996, p. 154.
98 D. Bell, “Western communist parties and the European Union”, in J. Gaffney (edited by), Political parties and the European Union, London and New York, Routledge, 1996, p. 221.
99 Ibidem, p. 222.
100 T. Nairn, The Left against Europe, Harmondsworth, Penguin, 1974.
101 M. Salvati , “Perché il partito democratico. Spunti per un manifestoin R.Racinaro (a cura di), Sul partito democratico. Opinioni a confronto, Napoli, Guida, 2007.
102 R. Dunphy, Contesting capitalism. Left Parties and European Integration, cit., p.72.
103 E. Di Nolfo, La guerra fredda e l’Italia ( 1941-1989), Firenze, Polistampa, 2010, p. 640.
104 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56” intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani, P. Ferrari ( a cura di), L’Europa da Togliatti a Berlinguer. Testimonianze e documenti 1945-1984. Bologna, Il Mulino, 2005, p.79.
105 La presenza della Democrazia cristiana come inamovibile partito di governo, identificato quindi con il potere, faceva sì, automaticamente, che il partito all’opposizione si identificasse con “la causa progressista, con le posizioni e gli interessi di chi nella società non condivide le posizione del partito di governo” in G. Galli, I partiti europei, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2008, p. 331.
106 M. Flores, N. Gallerano, Sul PCI. Un’interpretazione storica. Bologna, Il Mulino, 1992, p.174.
107 N. Conti, L. Verzichelli, “Europeanisation and partisan structure in Italy” in E. Külahci (edited by), Europeanisation and party politics. How the EU affects domestic actors, patterns and systems, cit.,p.58.
108 S. Galante, Il partito comunista italiano e l’integrazione europea. Il decennio del rifiuto. Padova, Liviana, 1988.
109 M. Flores, N. Gallerano, op. cit., p.69.
110 S. Galante, Alla ricerca della potenza perduta. La politica internazionale della DC e del PCI negli anni Cinquanta, Manduria, 1990, p. 82.
111 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56”, intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani, P. Ferrari (a cura di) , op. cit., p.80.
112 L. Levi, “Internazionalismo marxista e federalismo” in Mondo Operaio, n.7-8, luglio-agosto 1976 pp.78-84 e n. 10. ottobre 1976, p.77.
113 Progetti quali la creazione di una federazione danubiana, la nascita di un blocco anti-francese erano stati “interpretati a Mosca come tentativi di ricreare un cordone sanitario in funzione antisovietica” cfr. A. Varsori, La Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, cit., pp.34-35.
114 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56” intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani,P. Ferrari ( a cura di), op. cit., p.85.
115 Ibidem, p.14.
116 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56” intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani,P. Ferrari ( a cura di), op. cit., p.84.
117 Ibidem.
118 Ibidem, p. 88.
119 D. Novacco (a cura di), Storia del Parlamento italiano, Vol.14, Palermo, Flaccovio, 1971, p. 317.
120 Ibidem.
121 D. Preda, Sulla soglia dell’Unione. La vicenda della comunità politica europea (1952-1954). Milano, Jaca Book, 1994. Il 28 dicembre 1947, i socialisti avevano formato, insieme al Pci, un Fronte Popolare delle Sinistre che avrebbe portato nel 1948 alla presentazione di una lista unica alle elezioni politiche di quell’anno.
122 G. Mammarella, P. Cacace, La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri. Roma-Bari, Laterza, II ed. 2010, p. 205.
123 P. Ignazi, Il potere dei partiti. La politica in Italia dagli anni sessanta a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2002, p.73.
124 D. Novacco (a cura di), Storia del Parlamento italiano, Vol.15, Palermo, Flaccovio, 1978, pp. 242-256.
125 Ibidem, p. 250.
126 P. Togliatti, Il Partito Comunista Italiano, II ed., Roma, Editori Riuniti,
1970.
127 Ibidem, p. 121.
128 Ibidem, p. 126.


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