(PDF) La prima fase del rapporto tra il Pci e l’Europa si
caratterizza, come avremo modo di vedere, per un rifiuto totale del processo
d’integrazione europea che vede il partito assumere un atteggiamento di totale
disinteresse verso una realtà che viene in tutto e per tutto ignorata. A questo
livello vedremo come vi sarà una totale coincidenza tra discorso coordinativo e
discorso comunicativo del partito. Tanto negli organi decisionali, quanto nei
dibattiti parlamentari, nella stampa e nei testi pubblicati, il processo di
integrazione europea sarà rifiutato in maniera aprioristica e per certi versi
acritica, dato che non vi sarà
un’elaborazione autonoma da parte del partito, ossia fuori
dagli schemi classici della logica bipolare. L’opposizione all’Europa trovava
le sue radici nei tratti identitari del Pci, nella sua collocazione
internazionale96,
facendo sì che il processo d’integrazione europea venisse a contatto con la
“carne viva” del partito.
In questa prima fase vedremo come, se da un lato l’Europa non
sarà sicuramente al centro dell’agenda internazionale del partito poiché le
priorità saranno ben altre, dall’altro
l’aver inserito l’Europa all’interno della cornice della guerra
fredda, considerandola una “creatura” del blocco avverso, avrebbe contribuito
ad irrobustire il bagaglio ideologico del
partito. L’antieuropeismo delle origini genererà, anche per
questo, un lascito che andrà ben oltre la prima fase. Una ricostruzione del
rapporto tra il Pci ed il processo
d’integrazione europea ritengo debba iniziare
dall’esplicitazione di un dato di fatto che, per quanto apparentemente
scontato, ai fini della nostra analisi ricorrerà come una delle chiavi di
lettura del presente lavoro: “I partiti cattolici furono insieme alle correnti
laiche e a una parte del socialismo democratico i protagonisti della prima fase
della costruzione della piccola Europa dei sei”.97
L’Europa avrebbe giocato un ruolo
fondamentale nella storia dei partiti comunisti dell’Europa occidentale98 nella misura in cui sarà dalla paura del
Comunismo e di una sua vittoria anche in alcuni Paesi dell’Europa occidentale
che verrà una spinta sostanziale al processo d’integrazione europea. Infatti,
pur non essendo l’unico fattore determinante, la guerra fredda ha in un certo
senso “assistito” il processo di integrazione europea: gli Stati Uniti hanno
sostenuto esplicitamente la costruzione comunitaria e i partiti comunisti,
inizialmente indifferenti a forme di integrazione europea99, sarebbero divenuti apertamente ostili a
forme di integrazione dalla nascita del Comintern in poi ( settembre 1947).
L’Europa venne così identificata da tutti i partiti comunisti occidentali come
capitalista, Atlantica, riformista e come un ostacolo per la Rivoluzione.100 Per quel che riguarda invece la sinistra
europea, ossia quella che sin dai primi anni della costruzione comunitaria si
muoveva ed operava al suo interno, essa si presentava quasi ovunque come
riformista e socialdemocratica, schierata contro il comunismo. In maniera tacita
o espressa il socialismo europeo si era sbarazzato dei residui del programma
massimalista volto al superamento del capitalismo e che aveva condiviso per
tutto il periodo tra le due guerre, ponendosi invece obiettivi pienamente
“compatibili con un’economia di mercato ed un sistema sociale di tipo
capitalistico”.101
Il processo di costruzione europea era quindi, nei suoi atti
costituivi, un corpo del tutto estraneo al Pci sia dal punto di vista teorico
che pratico: gli ideali ed i concreti provvedimenti di natura economica e
politica a livello comunitario erano totalmente avulsi da esso. Il partito
comunista italiano, condividendo questa visione con il partito comunista
sovietico oltre che con gli altri partiti comunisti occidentali come quello
francese, avrebbe adottato subito un atteggiamento di aperta condanna verso la
Comunità europea. Essa era vista come uno strumento al servizio
dell’imperialismo che aveva il duplice obiettivo di
soggiogare politicamente ed economicamente l’Europa agli Stati
Uniti e di rafforzare l’offensiva imperialista contro il blocco dei Paesi
socialisti guidati dall’Urss.102 Come osserva Di Nolfo,103
la guerra fredda, prima di essere scontro
diplomatico, o marginalmente militare, era un confronto tra l’egemonia
economica statunitense, unitamente al sistema di interdipendenze che essa
creava su scala globale, e il tentativo sovietico di rispondere ad
essa mostrandone contraddizioni e fragilità. La guerra fredda
era così uno scontro tra sistemi economici e il processo d’integrazione europea
che, richiamando la celebre dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, mirava a
creare una solidarietà di fatto tra gli stati europei, attraverso una sempre
maggiore collaborazione in campo economico, si inseriva all’interno di uno dei
due blocchi: quello americano. L’incontro tra il Pci e l’Europa avveniva così
sulla base di un progetto, quello europeo, che era considerato del tutto
estraneo oltre che ostile al discorso elaborato dal Pci. Qualsiasi tipo di
iniziativa europeo occidentale era così osteggiata, contrapponendovi una
diversa visione del mondo e demolendone i principi fondativi. Ogni progetto
politico europeo, indipendentemente dalla diversa declinazione filosofica,
politica o ideologica era rifiutato in maniera aprioristica: tutto doveva
essere subordinato alla lotta per il socialismo. In tal senso è indicativo
quanto dichiarato in un’intervista da Antonio Giolitti che, sino al ‘57 era
stato un esponente di primo piano del Pci in materia di politica economica e
politica estera. Egli affermava come, finché aveva fatto parte del Pci, il tema
dell’Unione Europea fosse sempre stato semplicemente “snobbato, essendo dato
per scontato che (fosse) un’operazione di
marca capitalistico-imperialistica”104.
L’antieuropeismo del Pci trovava così le sue basi in una chiara
collocazione internazionale del partito che lo vedeva far parte ideologicamente
del blocco contrapposto a quello occidentale. Infatti, i primissimi anni che
fecero seguito al secondo conflitto mondiale videro il rapido sgretolamento della
coalizione antinazista e l’emergere ed il progressivo irrigidimento di due
visioni del mondo contrapposte che avrebbero portato in pochissimo tempo alla
cristallizzazione di un sistema delle relazioni internazionali basato su una
logica bipolare. Se a livello interstatale i singoli Paesi europei adottarono
una politica estera in tutto e per tutto coerente con il blocco di riferimento,
a livello intrastatale il bipolarismo comportò una netta divaricazione tra le
forze di sinistra social-comuniste che avevano nell’Urss il modello di
riferimento e quelle di matrice liberal-democratica, laica e cattolica. Tale
netta spaccatura in Italia era ancor più marcata per la presenza del maggior
partito comunista dell’Europa occidentale e per il “patto d’unità d’azione”
stretto, nel 1943, tra questo ed il Partito socialista italiano che sarebbe
culminato con la presentazione di un fronte unitario alle elezioni politiche
del 1948.
Oltre all’influenza dell’Urss sulla posizione del Pci, non va
nemmeno trascurato il ruolo di partito di opposizione che esso giocò nel quadro
politico italiano.105 Infatti,
nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni cinquanta “ogni movimento di
lotta e di protesta, sia di carattere economico che politico, ebbe il Pci come
proprio referente politico e come luogo di elaborazione, organizzazione e
direzione”106.
Sarà solo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta che il Pci cesserà di
essere l’unico rappresentante dei movimenti di lotta e di protesta.
L’antieuropeismo del Pci ha quindi anche una radice interna dovuta al suo farsi
difensore degli interessi di quei pezzi di società che non si riconoscevano
nelle scelte fatte dalle forze al governo. Inoltre, secondo l’analisi condotta
da N. Conti e L. Verzichelli, l’antieuropeismo del partito era dettato, a
livello della dimensione politica nazionale, non solo dalla dialettica
maggioranza/opposizione, ma anche dalla distanza del partito dal “centro dello
spettro politico”.107
Il primo decennio del processo di integrazione europea
vede così il Pci attestarsi su una posizione di rigido antieuropeismo,
non a caso S. Galante parla di questi anni come “decennio del rifiuto”.108 Tale antieuropeismo, che abbiamo definito
di tipo ideologico, si rivela coerentemente lineare sotto il profilo del legame
con l’Urss: modificazioni di rilievo di tale rapporto si sarebbero avute solo a
partire dalla fine degli anni sessanta. Infatti, in quegli anni il rapporto con
l’Urss costituì “l’unico terreno su cui non esistette mai nel partito una
contrapposizione tra destra e sinistra, tra duri e moderati, tra riformisti e
massimalisti”.109
Il partito era schierato su posizioni rigidamente filosovietiche
ed ogni idea di sovranazionalità era respinta, soprattutto se si riferiva al
solo campo occidentale. La difesa dell’indipendenza e della sovranità nazionale
era perseguita con ogni mezzo e la politica estera governativa era “percepita e
presentata come partecipazione intenzionale a un disegno ispirato
dall’anticomunismo straniero e indigeno ai cui interessi subordinava, compromettendoli,
quelli interni ed esterni della nazione”.110 È cosi possibile evincere come l’iniziativa della Ceca fosse vista
dal partito comunista come una operazione negativa non solo perché di stampo
chiaramente capitalistico, ma anche perché ritenuta svantaggiosa economicamente
per un’Italia che appariva come “la cenerentola che pagava nell’accordo tra i
due grandi”111.
La stessa ferma opposizione sarebbe stata mostrata dal partito nei confronti
del fallito tentativo della Ced, che sarebbe stato visto
come una semplice filiazione del Patto Atlantico. È molto importante
sottolineare, ai fini della nostra analisi, come il “discorso” sull’Europa del
Pci, in quella che abbiamo identificato come prima fase del suo rapporto con essa,
fosse molto forte anche se in chiave negativa. Secondo una formulazione che si
può far discendere da Marx in persona ed in seconda battuta da Lenin112,vi era una chiara opposizione ideologica
a qualsiasi forma di collaborazione tra gli Stati europei che non avesse come
presupposto il superamento del capitalismo e la conquista del potere da parte
del proletariato. Qualsiasi iniziativa di collaborazione tra Stati promossa in
Occidente era così ritenuta ostile
apriori.
Infatti, già durante gli anni del secondo conflitto mondiale l’Unione
Sovietica si era opposta a qualsiasi iniziativa volta a progettare, per il
periodo post-bellico, forme di raggruppamento regionale per l’Europa.113 Da questo derivava anche
l’interscambiabilità, agli occhi del Partito comunista italiano, dei binomi Europa/Nato,
europeismo/atlantismo che si protrarranno nel corso di molti anni a venire
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È indicativo come in questi anni il
termine adoperato negli ambienti del partito comunista per indicare il processo
d’integrazione europea fosse quello di Mercato Comune piuttosto che di Comunità
Europea, proprio per volerne marcare la chiara connotazione capitalistica del fenomeno
che, in quanto tale, andava avversato. Adottare il termine Comunità per
definire il fenomeno europeo avrebbe significato introdurre una visione più
vasta del processo, mirante ad un’integrazione anche di tipo politico114, cosa che in quegli anni era lontana anni
luce dalla posizione del Partito. Una parziale eccezione in questa prima fase
di antieuropeismo ideologico del Pci sarà costituita dagli anni della
Resistenza e della lotta al fascismo: la speranza di liberare il continente dai
totalitarismi di destra e la volontà di riportare la pace attraverso la
sconfitta dei nazionalismi aveva, forse solo per un momento, fatto condividere
a federalisti e comunisti115 l’idea
che il sistema internazionale fosse irrimediabilmente compromesso e andasse
ricostruito su nuove basi. Tuttavia, l’attenzione che il Pci gli avrebbe conferito
sarebbe stata modesta e comunque subordinata alla lotta principale: quella per
il socialismo. Ad ogni modo la Conferenza di Yalta ed il rafforzamento della
logica bipolare avrebbero posto sin da subito una pietra tombale su qualsiasi
forma di collaborazione tra i due movimenti.
Infatti, sino alla morte di Togliatti si può sicuramente affermare
come l’europeismo avesse rivestito un ruolo marginale all’interno della
definizione delle linee di politica estera del partito. Per quanto dopo la
morte di Stalin, Togliatti manifestasse delle perplessità sulla leadership di
Khrushchev, allo stesso tempo non c’era nulla che potesse fargli venir meno la
convinzione che il “campo vincente” fosse quello sovietico e che le Comunità
europee appartenessero al campo avverso. Era “la sua filosofia della storia lo
portava a questa certezza”116 e
di conseguenza l’atteggiamento del partito verso il processo comunitario non
poteva che discendere da tale presupposto. Essere in conflitto con quella
filosofia significava, come testimonia A.Giolitti,117 dover uscire fuori dal partito. È per
questa ragione che l’esponente del Pci nella già citata intervista affermava
come non si potesse parlare di aperture sostanziali del Pci, nei confronti
dell’Europa, sino alla morte di Togliatti. È possibile ravvisare un atteggiamento
meno drasticamente ostile nell’ultimo Togliatti, ma di certo non vi erano
riflessi concreti sul piano degli orientamenti politici, né su quello del
discorso verso la base. D’altronde, andando a sfogliare le riviste comuniste o
simpatizzanti, sino alla morte di Togliatti, non si trovava alcuna riflessione
deideologizzata sul processo europeo che porti la firma di qualche esponente
comunista.118
Spostando la nostra attenzione alle prime discussioni che si sarebbero
svolte in ambito parlamentare, è possibile avere conferma dell’opposizione
della sinistra al processo d’integrazione europea, che quindi sarebbe stata
evidente anche in queste sede. Il primo dibattito parlamentare sulle tematiche
europee si svolse nel giugno-luglio 1948. Esso trattava il tema dell’adesione
dell’Italia all’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (Oece) e
vide i voti favorevoli di cattolici, liberali e socialdemocratici, l’astensione
del Movimento sociale italiano e il voto contrario del Psi e del Pci. Le
opposizioni, come evidenziato dalla mozione presentata da Nenni e di cui Pesenti
fu relatore, non facevano alcuna distinzione tra Stati Uniti ed Europa:
qualsiasi adesione italiana ad organismi europei avrebbe, ai loro occhi,
rafforzato il posizionamento filoatlantico del Paese. Anche il dibattito sull’adesione
italiana al Consiglio d’Europa si mosse sulla falsa riga di quello sull’Oece,
mentre la ratifica italiana alla Comunità Europea di Difesa (Ced) non vide
alcuna disamina da parte del Parlamento a causa del sopravvenuto scioglimento
delle Camere119.
Un dibattito vero e proprio si ebbe in Parlamento, invece, in seguito alla
ratifica del trattato istitutivo della Ceca, firmato a Parigi il 18 aprile
1951. La relazione contraria di minoranza, firmata dall’esponente del Pci
Pastore, non fece ricorso ad analisi di mercato, né a considerazioni di
politica economica, ma si limitò ad esprimere il sospetto che i veri protagonisti
dell’iniziativa sarebbero stati i grandi monopoli della Ruhr, alcuni gruppi americani e quelli siderurgici
francesi della regione della Lorena120.
In questi stessi anni anche i socialisti italiani, pur fra differenziazioni
e distinguo, erano allineati al comunismo staliniano e, con una scelta di campo
di segno diametralmente opposto ai grandi partiti socialdemocratici europei,
avevano rinunciato alla propria autonomia ponendosi in uno stato che denotava
una certa subalternità rispetto al Pci.121
In realtà, i temi di politica estera
avevano comunque portato ad una prima scissione nell’ambito della sinistra: nel
gennaio del 1947 i riformisti filoatlantici guidati da Saragat, in disaccordo
con la linea sostenuta dal Segretario Nenni in tema di alleanze internazionali,
avevano abbandonato il Psi con la famosa scissione di Palazzo Barberini.
Tuttavia, sarà solo dopo la morte di Stalin ed il successo elettorale del 1953,
che il Psi muoverà i primi passi nella direzione di un progressivo distacco dal
Pci e di un’apertura verso posizioni più filoatlantiche e europeiste, senza
però fare subito propria la tradizione socialdemocratica o riformista. L’evoluzione
della crisi del mondo comunista con il rapporto tenuto da Nikita Khrushchev al
XX Congresso del Pcus che segna l’avvio del processo di “destalinizzazione” e
la repressione, nel novembre del 1956, della rivolta ungherese
da parte delle forze sovietiche, apriranno la strada alla prospettiva di
un’apertura a sinistra in Italia che si concretizzerà con l’avvio dell’epoca
dei governi di centro-sinistra ed al mutamento della visione internazionale ed
europea del Psi. Sarà proprio la crisi ungherese a dividere definitivamente la
posizione del Psi di Nenni da quella del Pci di Togliatti in merito ai rapporti
con l’Urss ed alla differente visione sulla collocazione internazionale
dell’Italia122.
Come però avrà modo di osservare Ignazi, “l’accettazione piena della democrazia
dopo il 1956 (da parte del Psi), per quanto genuina, era priva di fondamento
teorico”123.
Ciononostante, il 1957 rappresenterà per il Partito socialista l’anno in cui
esso abbandonerà il proprio atteggiamento negativo nei confronti della
costruzione europea. L’occasione sarà costituita dalla ratifica in Parlamento
dei trattati istitutivi delle due Comunità: l’Euratom e la Cee; in tale
occasione esso voterà a favore del primo e si asterrà sul secondo. Il dibattito
parlamentare sulla Comunità Europea si svolse nella seconda metà di luglio del
1957 e vide il Pci presentare una propria mozione a firma di Giuseppe Berti.
Come abbiamo visto, la nuova posizione dei socialisti aveva
indebolito il peso dell’opposizione di sinistra che vedeva, quindi, il solo Pci
esprimere parere contrario in Parlamento. L’intervento di Gian Carlo Pajetta
alla Camera il 25 luglio 1957 ribadiva con forza quella che era stata la
posizione del partito nel primo decennio dell’integrazione europea: il Pci non
contestava che vi fosse un processo di sempre più accentuata collaborazione
internazionale, ma riteneva che le Comunità prospettate andassero nella
direzione di una divisione dell’Europa, della creazione di quella che Pajetta definiva
come “piccola Europa” dei monopoli124. Di quei monopoli che, per l’esponente comunista, avevano accettato
la politica europea di guerra e di soggezione all’imperialismo tedesco sino
alla fine della seconda guerra mondiale. Il processo di integrazione europea
era quindi visto come entità non autonoma in quanto dipendente politicamente ed
economicamente dagli Stati Uniti che la indirizzavano contro l’Unione
Sovietica. Nelle parole di Pajetta il mercato comune, lungi dall’essere un
passo fondamentale verso l’integrazione europea, rappresentava una tappa
ulteriore di rafforzamento della divisione in blocchi dell’Europa. Già nel
discorso alla Camera nel 1957, Pajetta teneva a precisare come il Pci non
accettasse le critiche, che gli erano state mosse dai liberali con Malagodi e
dal socialista Lombardi, di essere conservatori e sostenitori di un’economia
basata su principi di stampo chiaramente protezionista. La non accettazione del
Mercato Comune era anche motivata, dall’esponente comunista, con l’esiguità del
numero dei Paesi aderenti alle Comunità europee e con le barriere che
inevitabilmente si sarebbero create con i restanti Paesi, ivi inclusi quelli
dell’est Europa. Rigettando la narrazione comunitaria che vedeva la nascita
della Cee come strumento di cooperazione tra gli Stati, Pajetta affermava come
la solidarietà internazionale si manifestasse nel votare contro il mercato
comune dato che esso mirava a ledere fortemente l’indipendenza nazionale, favorendo
organi di natura non democratica che pretendevano di decidere le sorti delle
classi lavoratrici in base ad interessi dettati da “alleanze intermonopolistiche”.125
La prima fase del rapporto tra il Pci e l’Europa, quindi, quella che abbiamo definito
dell’antieuropeismo ideologico trovava, inoltre, una sua chiara
esemplificazione nello
scritto di Togliatti del 1958, intitolato “Il Partito Comunista
Italiano”.126 L’occasione
per la pubblicazione di questo testo venne dall’iniziativa, da parte della casa
editrice Nuova Accademia, di pubblicare una serie di saggi sulla storia dei partiti
politici in Italia; si è di fronte così ad un testo di carattere divulgativo
destinato ad un pubblico non strettamente di partito. Nell’ultimo capitolo del
suo saggio, il segretario tracciava con estrema chiarezza la visione del mondo
che era alla base dell’identità stessa del Pci. Egli riteneva come, sul finire
degli anni ‘50 fosse possibile identificare due linee caratterizzanti
l’evoluzione della situazione internazionale e del progresso umano.127 Una, quella capitalista, era ritenuta da
Togliatti inevitabilmente in fase discendente, mentre l’altra, quella
socialista, era vista in fase ascendente. Il processo d’integrazione europea faceva
indubbiamente parte, per Togliatti, della prima delle due linee ed in quanto
tale sarebbe stato destinato ad un’inesorabile declino. Esso infatti era visto
come un’associazione tra Stati diversi che “ non vuole affatto giungere a una
trasformazione della struttura economica di questi Stati tale che sopprima lo
sfruttamento del lavoro e lo strapotere dei monopoli, anzi, mira a rafforzare e
mantenere l’ordinamento capitalistico”.128
L’Europa diveniva anche l’occasione per
rispondere alle critiche che da più parti erano solitamente mosse nei confronti
del Pci, da parte delle altre forze politiche (Democrazia cristiana in primis), in
ragione della sua appartenenza al movimento comunista internazionale che esse
ritenevano andasse inevitabilmente a scapito degli interessi della nazione.
Togliatti, se da un lato affermava
come ogni movimento politico avesse la tendenza a stabilire
contatti al di fuori del proprio Paese, dall’altro trovava strano come coloro
che si scagliavano contro l’internazionalismo dl partito fossero gli stessi
artefici dell’ingresso dell’Italia nelle Comunità europee, da egli definite in
maniera spregiativa come “piccola Europa”,129
in quanto organizzazione che comprendeva
solamente il blocco capitalista dei Paesi europei. Inoltre, per il segretario del
Pci, mentre la classe operaia e le sue organizzazioni politiche erano spinte a
cooperare perché unite da un “grande ideale” che le univa nella volontà di
aiutarsi a vicenda, in vista di un comune nemico da abbattere, ossia il capitalismo,
il processo europeo, si poneva agli antipodi di tale visione, poiché mirava
alla sua perpetuazione.
Il testo di Togliatti, seppur cronologicamente collocato all’interno
di quella che abbiamo definito come seconda fase del rapporto tra il partito e
l’Europa e che analizzeremo di qui a poco, ci rivela come, nel momento in cui
si trattava di “motivare” la base più ampia dell’elettorato comunista e di
trasmettere all’esterno le linee di politica estera del partito, il richiamo
all’ideologia profonda del partito prevalesse sull’elaborazione di nuove strategie.
Cirulli Giuseppe - La sinistra italiana ed il processo di integrazione europea: la transizione del PCI attraverso il suo discorso sull'Europa
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96 A tal proposito N. Conti e L. Verzichelli,
sulla scorta di un’analisi condotta su un’ampia selezione di documenti
partitici, sottolineano come per lungo tempo, in Italia, la scelta europea sia
stata innanzitutto una scelta di tipo geopolitico. N. Conti, L.
Verzichelli, “Europeanisation and partisan structure in Italy” in E. Külahci
(edited by), Europeanisation and party politics. How the EU affects
domestic actors, patterns and systems, cit.,
pp.55-56.
97 M. Telò, “ L’Italia nel processo
d’integrazione europea” in Storia
dell’Italia Repubblicana, vol. III, tomo I, Torino,
Einaudi, 1996, p. 154.
98 D. Bell,
“Western communist parties and the European Union”, in J. Gaffney (edited by), Political
parties and the European Union, London and New York, Routledge, 1996, p. 221.
99 Ibidem, p. 222.
100 T. Nairn, The Left
against Europe, Harmondsworth, Penguin, 1974.
101 M. Salvati , “Perché il partito
democratico. Spunti per un manifesto”
in R.Racinaro (a cura di), Sul partito democratico.
Opinioni a confronto, Napoli, Guida, 2007.
102 R. Dunphy, Contesting
capitalism. Left Parties and European Integration, cit., p.72.
103 E. Di Nolfo, La guerra fredda e l’Italia ( 1941-1989), Firenze, Polistampa, 2010, p. 640.
104 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56”
intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani, P. Ferrari ( a cura di), L’Europa da Togliatti a Berlinguer. Testimonianze e documenti
1945-1984. Bologna, Il Mulino, 2005, p.79.
105 La presenza della Democrazia cristiana
come inamovibile partito di governo, identificato quindi con il potere, faceva
sì, automaticamente, che il partito all’opposizione si identificasse con “la
causa progressista, con le posizioni e gli interessi di chi nella società non
condivide le posizione del partito di governo” in G. Galli, I partiti europei, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2008,
p. 331.
106 M. Flores, N. Gallerano, Sul PCI. Un’interpretazione storica. Bologna, Il Mulino, 1992, p.174.
107 N. Conti, L. Verzichelli,
“Europeanisation and partisan structure in Italy” in E. Külahci (edited by), Europeanisation and party
politics. How the EU affects domestic actors, patterns and
systems, cit.,p.58.
108 S. Galante, Il partito comunista italiano e l’integrazione europea. Il
decennio del rifiuto. Padova, Liviana, 1988.
109 M. Flores, N. Gallerano, op. cit., p.69.
110 S. Galante, Alla ricerca della potenza
perduta. La politica internazionale della DC e del PCI negli anni Cinquanta, Manduria, 1990, p. 82.
111 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56”,
intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani, P. Ferrari (a cura di) , op. cit., p.80.
112 L. Levi, “Internazionalismo marxista e
federalismo” in Mondo Operaio, n.7-8, luglio-agosto 1976 pp.78-84 e
n. 10. ottobre 1976, p.77.
113 Progetti quali la creazione di una
federazione danubiana, la nascita di un blocco anti-francese erano stati
“interpretati a Mosca come tentativi di ricreare un cordone sanitario in
funzione antisovietica” cfr. A. Varsori, La
Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, cit., pp.34-35.
114 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56”
intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani,P. Ferrari ( a cura di), op. cit., p.85.
115 Ibidem,
p.14.
116 A. Giolitti, “Il PCI prima del ‘56”
intervista a A. Giolitti in M. Maggiorani,P. Ferrari ( a cura di), op. cit., p.84.
117 Ibidem.
118 Ibidem, p. 88.
119 D. Novacco (a cura di), Storia del Parlamento italiano,
Vol.14, Palermo, Flaccovio, 1971, p. 317.
120 Ibidem.
121 D. Preda, Sulla soglia dell’Unione. La
vicenda della comunità politica europea (1952-1954). Milano, Jaca Book, 1994. Il 28 dicembre
1947, i socialisti avevano formato, insieme al Pci, un Fronte Popolare delle
Sinistre che avrebbe portato nel 1948 alla presentazione di una lista unica
alle elezioni politiche di quell’anno.
122 G. Mammarella, P. Cacace, La politica estera dell’Italia.
Dallo Stato unitario ai giorni nostri. Roma-Bari,
Laterza, II ed. 2010, p. 205.
123 P. Ignazi, Il potere dei partiti. La
politica in Italia dagli anni sessanta a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2002, p.73.
124 D. Novacco (a cura di), Storia del Parlamento italiano,
Vol.15, Palermo, Flaccovio, 1978, pp. 242-256.
125 Ibidem,
p. 250.
126 P. Togliatti, Il Partito Comunista Italiano, II ed., Roma, Editori Riuniti,
1970.
127 Ibidem,
p. 121.
128 Ibidem,
p. 126.
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